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L’impossibile necessario per Giorgio Rimondi

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Giorgio Rimondi, L’impossibile necessario, Mimesis, 2024.

Il nuovo libro di Giorgio Rimondi indaga come sempre mondi interessanti, liminari. Qui i temi a intrecciarsi sono l’hantologia e l’afrofuturismo: mondi e immaginari che esplodono, liberi. La musica, come sempre ricopre un ruolo da protagonista nel lavoro di Rimondi: un capitolo in particolare accosta la fantascienza alla “fantasonica”. Qui, tra tanti riferimenti colti, spicca il nome di Mark Fisher i cui scritti sulla musica hanno fatto epoca e che l’amico Simon Reynolds ha ricordato come: “l’ultimo esemplare di una specie in via d’estinzione, il critico musicale come profeta”. Per capire come scriva questo implacabile critico della normalizzazione post capitalistica contemporanea Rimondi propone alcune frasi significative da Scegli le tue armi. Scritti sulla musica K-Punk/3, (Minimum Fax 2021, pp. 182-183. “La cultura pop resta enormemente importante, anche quando svolge solo un’essenziale funzione ideologica: fare da rumore di fondo mentre il realismo capitalista normalizza la devastazione ambientale, la piaga della malattia mentale e lo sclerotizzarsi di condizioni sociali in cui la mobilità sociale tende sempre più allo zero. E’ in corso una guerra di classe, ma è combattuta da una parte sola”. Se Fisher parla apertamente di cancellazione del futuro allora siamo ancora intrappolati in un ventesimo secolo che si ripete all’infinito “oppresso da finitezza e sfinimento”. Questo approccio, scrive Rimondi, è certamente debitore verso le amare riflessioni di Franco “Bifo” Berardi verso l’ipermodernità. Il libro di Rimondi ha il merito di discutere con originalità pensatori e scrittori poco frequentati in Italia ma anche di proporre tanta buona musica. Per uscire dalla lettura con una colonna sonora, tanti sono gli ascolti suggeriti dall’autore lungo le pagine del libro, il più antico, risalente agli anni Trenta del secolo scorso, è quello di Robert Johnson, blues nella sua dimensione più “misteriosa e spettrale”, uno dei più moderni quello della techno di Detroit del gruppo Drexciyda. Unisce questi nomi così distanti tra loro la ricerca di nuovi percorsi afrodiasporici, afrofuturistici. Dal blues arcaico-spaziale di Blind Willie Johnson all’afroinduismo di Sarathy Korwar. Parlando di afrofuturismo ovviamente il nome che viene per primo alla mente – e al quale sono dedicate diverse pagine – è ovviamente quello di Sun Ra, compositore e musicista che anno dopo anno deborda sempre più dalla sua nicchia ai margini del jazz e per acquistare un posto di rilievo sempre maggiore nella storia della musica. La lucidità della sua opera emerge nettamente nelle analisi e nelle teorizzazioni prodotte per realizzarla. “Quando suono la space music sto affrontando il vuoto, che è il vuoto dello spazio cosmico ma anche quello della condizione nera”. A lui la riflessione finale: “Preferisco la mitocrazia alla democrazia. Prima della storia c’era il mito…ed è il che si trovano i neri. La realtà è uguale alla morte, perché ogni cosa reale ha un inizio e una fine. I miti invece parlano dell’impossibile, dell’immortalità. E poiché tutto ciò che è possibile è stato provato, dobbiamo provare l’impossibile”.


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