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Claudio Angeleri, il mestiere di vivere jazz

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Claudio Angeleri, Vivere di musica, Art Digiland, 2024

Pianista e organizzatore culturale di spessore, Claudio Angeleri consegna al volume autobiografico Vivere di musica i ricordi della sua vita di musicista, organizzatore e didatta. Degli inizi della carriera viene raccontata la gavetta e riprodotta a stampa una lettera scritta a macchina da Arrigo Polillo, l’allora autorevole direttore della rivista Musica Jazz,che sprona il giovane pianista, in quel momento impegnato con il militare, a riprendere il suo gruppo, agendo come un talent scout. Sono i prodromi dell’Arp Quintet, con Tino Tracanna, Ellade Bandini, l’americano Martin Wehner. Con quest’ultimo nasce un’amicizia che prosegue oltre la musica e porta Angeleri in America dove il nostro ha la possibilità di conoscere un grande pianista e insegnante di jazz come Mark Levine e a San Francisco il poeta beat Lawrence Ferlinghetti. Amicizie che porteranno frutti come si può leggere nel resto della storia. Qui si seguono alcuni capitoli che raccontano le collaborazioni con alcuni sassofonisti americani di primo piano come il (semi dimenticato, ed è un gran peccato) Charlie Mariano, Bob Mintzer, Michael Rosen. A parte le esperienze con la didattica e le imprese culturali organizzate a Bergamo, Angeleri dedica una parte del libro a tratteggiare alcuni veloci ricordi dei grandi del jazz italiano con i quali ha suonato, personaggi spesso umili, ma dotati di sicuro talento come Gianni Basso, Franco Cerri, Gabriele Comeglio, Franco Ambrosetti, Gianluigi Trovesi, Giorgio Gaslini, Enrico Intra…e molti altri. La storia di Angeleri racconta le difficoltà e la passione necessaria per fare “il mestiere” di musicista in Italia e per non limitarsi a copiare gli americani ma per essere creativi e saper proporre qualcosa di nuovo. Un mestiere che spesso -e qui si torna agli inizi del libro – richiedeva, almeno fino a qualche anno fa, di fare “la balera”, la sala da ballo di un tempo, dove si suonava il liscio e in generale la musica da ballo. Si impara molto e si conoscono i ritmi di tutto il mondo, spiega l’autore, ma a volte ci si scontra con un pubblico che di musica capisce poco o per guadagnare si accetta di fare i temibili veglioni di Capodanno. “In questi casi si può comunque contare su una cospicua retribuzione e sul fatto che, dopo Mezzanotte, il livello alcolico del pubblico rende praticamente uguali tutti i pezzi. In diverse situazioni abbiamo suonato la stessa canzone per ore cambiando solo il ritmo, ora a bossa, ora a boogie o a valzer. In quelle occasioni un musicista si sente davvero onnipotente e può consumare ogni tipo di vendetta”. Anche Charlie Parker del resto avevasuonato ai matrimoni degli ebrei newyorkesi pur di tirare su qualche soldo. Nulla di male, se serve a tenere la musica viva e creativa.


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